Le grandi tragedie by William Shakespeare

Le grandi tragedie by William Shakespeare

autore:William Shakespeare
La lingua: ita
Format: epub, mobi, azw3
Tags: I Mammut
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2012-04-17T16:00:00+00:00


SCENA QUARTA

Piattaforma del castello.

Entrano Amleto, Orazio e Marcello.

AMLETO: L’aria taglia; fa molto freddo.

ORAZIO: C’e una brezza pungente.

AMLETO: Che ora è?

ORAZIO: Quasi mezzanotte, credo.

MARCELLO: È già suonata.

ORAZIO: Davvero? Non ho sentito. Siamo vicini al momento in cui lo spettro usa mostrarsi. (Squilli di tromba, due colpi di cannone) Che cos’è, monsignore?

AMLETO: Baldoria. Alza la coppa, il re, guida il vorticoso saltinsù, e, come tracanna sorsate di vino del Reno, tamburo e tromba solennizzano i suoi trionfi nella guerra dei brindisi.

ORAZIO: È l’usanza?

AMLETO: Una di quelle usanze che a mio parere vanno infrante più che rispettate: e lo dice uno avvezzo dalla nascita ai costumi nazionali. Queste orgie sfrenate a ogni tempo e occasione ci espongono alla critica e al biasimo degli stranieri, che ci chiamano beoni, macchiando la nostra fama di brutti appellativi – e in verità c’è di che sminuire le nostre imprese, anche eccellenti – ledendoci nel nerbo e nel midollo della reputazione. Spesso così vediamo creature eccezionali, per una crina nel loro carattere, dalla nascita, e di cui non sono responsabili, poiché natura non può scegliere la propria origine; per lo sviluppo eccessivo di una tendenza, cresciuta fino ad abbattere palizzate e fortezze di ragione; o per un modo di fare, che rende insufficiente la scorza delle buone maniere; queste creature, dico, segnate dall’impronta di un difetto dovuto alla natura o alla fortuna, fossero le virtù di cui si abbelliscono infinite quante l’uomo può averne, limpide come la grazia, le vediamo incappare nella condanna di tutti per quel solo difetto. Spesso una goccia di male contamina la sostanza più pura.

(Entra lo Spettro)

ORAZIO: Guardate, monsignore: viene!

AMLETO: Angeli e ministri di grazia difendeteci! Spirito di bene, o folletto dannato, sia che porti con te aure del cielo o miasmi d’inferno, siano le tue intenzioni maligne o caritatevoli, la forma in cui ti presenti è un tale interrogativo che io voglio parlarti. Ti chiamerò Amleto, re, padre, re dei danesi! Rispondimi: non lasciare che io mi consumi nella ignoranza, ma dì perché le tue ossa, consacrate da sepoltura cristiana, hanno sciolto i sudari di cera, e la tomba dove ti abbiamo visto deporre in pace ha spalancato le gravi mascelle di marmo per darti fuori. Che cosa può voler dire, che tu, morto, ritorni, chiuso nell’acciaio, a visitare i lucori della luna, terrificando la notte, e noi, bersagli di natura, inorridiamo, sopraffatti da pensieri oltre il raggio delle anime nostre? Dì, perché? a quale fine? che dovremmo fare?

(Lo Spettro fa cenno ad Amleto)

ORAZIO: Vi fa cenno di andare con lui, come volesse rivelare qualcosa a voi solo.

MARCELLO: Guardate con che atto benevolo accenna a guidarvi in luogo appartato. Non andate con lui.

AMLETO: Non parlerà qui. Devo seguirlo.

ORAZIO: No, monsignore.

AMLETO: Per paura di che? Non tengo la vita in più conto di uno spillo, e che male può fare alla mia anima, immortale come lui? Mi invita di nuovo. Lo seguirò.

ORAZIO: E se vuole tentarvi in direzione dei flutti, o sulla tetra sommità della rupe che pencola dalle fondamenta sul mare, e



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